Articoli sui fatti di Roma

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Margherita Duse
view post Posted on 15/12/2010, 19:08




Da repubblica.it D'avanzo

CITAZIONE
Una violenza annunciata
di GIUSEPPE D'AVANZO La violenza, alla fine, è diventata l'unica realtà di una giornata che ha visto manifestare a Roma gli aquilani senza ricostruzione, i napoletani senza diritto alla salute, minacciati da tonnellate di rifiuti, e soprattutto - in decine e decine di migliaia - gli studenti senza futuro, agitati dalla riforma Gelmini. Una rappresentazione dunque del disagio, dell'insicurezza di un Paese che non riesce più a farsi ascoltare, che non trova più alcuna linea di condivisione tra se stesso e chi lo governa; un Paese abbandonato, dimenticato, smarrito nelle nebbie di un illusionismo mediatico che riscrive la realtà reinventandola con una narrazione spettacolare dove l'Aquila è stata già ricostruita. Napoli è stata già pulita; scuola, università e ricerca sono state già risanate dalle innovazioni del ministro. Il racconto autocelebrativo e bugiardo semina in chi lo subisce - e, subendolo, è ridotto al silenzio - rancore, risentimento, rabbia. Sentimenti che in questi lunghi mesi - per Napoli e L'Aquila, anni - sono rimasti freddi, sotto controllo e non hanno mai prodotto brutalità perché lucida è la consapevolezza che la violenza cancella ogni ragione e ogni possibilità di averne.

Non è stato così ieri, quando la violenza si è fatta assoluta. Come sempre accade quando diventa assoluta, la violenza ha raschiato via gli obiettivi futuri dei movimenti che erano in piazza - le loro speranze, le loro ragioni - e si è
fatta padrona della giornata. Ha dominato la situazione nella ellittica spirale dove la violenza della polizia reagisce alla violenza dei dimostranti e c'è posto soltanto per la tensione, la paura, le urla, il fuoco, il ritmo dei colpi, le bastonature.

Che cosa è accaduto? Quel che si sapeva da giorni sarebbe accaduto. Un gruppo di black bloc o anarchici, chiamateli come volete, si sono impossessati della protesta e del "cuore" della Capitale. Con logiche e organizzazione "militari" hanno cercato e ottenuto lo scontro diretto con le forze dell'ordine. Hanno costruito barricate. Hanno sistematicamente bruciato auto, vandalizzato "i simboli del capitalismo" come agenzie bancarie e bancomat e distrutto l'intera area del Tridente - via del Corso, via del Babuino, via di Ripetta - a ridosso dei palazzi della Repubblica, a Monte Citorio la Camera dei Deputati; a Palazzo Madama, il Senato; a Palazzo Chigi, la presidenza del Consiglio; a Palazzo Grazioli, la residenza privata del capo del governo. Con operazioni diversive, che hanno ingannato i "reparti mobili", sono riusciti a far esplodere tre bombe carta agli Uffici del Vicario, a pochi metri dalla Camera; a minacciare Palazzo Grazioli, a "conquistare" per lungo tempo via del Corso e poi, per più di un'ora, piazza del Popolo.

Come è potuto accadere? E' quel che il governo dovrebbe spiegare. Si sapeva che il "blocco nero" ci sarebbe stato. Si sapeva che con loro ci sarebbero state frange dei movimenti anarco insurrezionalisti greci e tedeschi, come poi è davvero stato. E allora? Perché si è accettato di subire la loro prepotenza con lo stesso fatalismo con cui si accetta che piova e faccia freddo? Ora naturalmente ci sarà l'intelligence che dirà "l'avevamo detto", le polizie che diranno: "l'allarme era troppo generico e sommario per intervenire". Il risultato non cambia: sotto gli occhi delle forze dell'ordine, un paio di centinaia di "neri" hanno potuto devastare il centro storico di Roma, il "cuore" politico e istituzionale della Capitale e imbruttire movimenti di protesta responsabili che finora hanno fatto leva soprattutto su parole, analisi, ragionevoli argomenti. Soltanto gli irresponsabili corifei del Sovrano possono sovrapporre le violenze dei black bloc al voto di fiducia. Soltanto un Gasparri può vedere nelle "violenze di piazza, la conseguenza della predicazione violenta di troppi apprendisti stregoni". Quale predicazione violenta? Quella paziente e pacata degli aquilani? Quella ostinata e mite degli studenti e dei ricercatori universitari che, con la più violenta delle scelte, salgono su un tetto per "farsi vedere"? La verità è che nel governo, nella maggioranza c'è chi valuta come un'occasione politica - non disprezzabile con i tempi che corrono - il ritorno a una stagione di violenza. Consente di invocare "repressione", come fa Sacconi, ancor prima di comprendere e giudicare. Permette di inaugurare una nuova emergenza e ancora uno "stato d'eccezione". Soprattutto concede di nascondere, tra i fumi delle auto bruciate e le grida contro il "nuovo terrorismo", il fallimento di un governo incapace di dare risposte a un'Italia sofferente e fragile. E' quella che ieri, con Roma, ha pagato il maggior prezzo a tre ore di violenza annunciata.

Riporto anche l'articolo girato in mailing list sa Davide del manifesto

CITAZIONE
La solitudine dei bravi ragazzi

Loris Campetti

Brucia piazza del Popolo, bruciano le strade di Roma, brucia la rabbia di decine di migliaia di studenti quando alle 13,41 viene annunciato il voto di fiducia a Berlusconi. Hai voglia di dire che tanto quello lì ha perso politicamente: i simboli sono importanti. E quella maledetta legge Gelmini fermata dalla rivolta delle scuole e delle università ora torna in campo. I tre voti che salvano il governo cancellano definitivamente la fiducia della piazza nella politica, cancellano il futuro di una generazione. E ne condannano un'altra alla precarietà. La stessa rabbia degli operai metalmeccanici arrivati da Padova o da Pomigliano che vedono il modello sociale di Marchionne puntare contro di loro come come i blindati della Polizia e della Finanza. Vedono tornare il panzer Sacconi lanciato a bomba contro lo Statuto dei lavoratori.
Quel voto del Palazzo, quel mercato sub-politico che umilia il Parlamento cambia l'umore della piazza, la protesta esplode e poche voci si alzano contro chi magari è arrivato organizzato in piazza, non invitato, per far casino. Nessuno prova pietà per qualche suv sfasciato sul Lungotevere, per una Jaguar che brucia, per i bancomat presi a colpi di sampietrini: sono simboli di un potere odiato oggi più di ieri, rappresentano anch'essi un modello diseguale, ingiusto, basato sul furto ai poveri, tanti, per dare ai ricchi, pochi. Goliardia? Non solo, e non soprattutto. Il blindato e qualche altro mezzo che bruciano tra piazza del Popolo, via del Corso e via del Babbuino non trovano solidarietà tra i giovani e giovanissimi che si affollano dietro chi resiste alle cariche della polizia. Quando un blindato tenta di sfondare il muro umano che, a differenza del Parlamento, sta sfiduciando Berlusconi ma viene ributtato indietro, parte un applauso corale. Questa non è goliardia, è rabbia di chi vede sfilarsi futuro e diritti e non ci sta.
Così brucia piazza del Popolo. La politica ha fallito, le istituzioni sono fuori, lontane, nemiche di queste ragazze e ragazzi così simili ai loro compagni di Atene o di Londra, che ieri hanno messo in campo la più grande manifestazione studentesca che il cronista, non più ragazzino, ricordi. Non hanno tutti contro, però. Con loro ci sono le tante Italie che resistono, e cominciano a incrociarsi. C'è la Fiom con il suo gruppo dirigente che chiede, insieme ai ragazzi, lo sciopero generale. Che se ci fosse stato avrebbe contribuito a farli sentire meno soli e meno lontani da tutte quelle rappresentanze che non rappresentano più, non svolgono più alcun ruolo di mediazione. Ci sono i terremotati dell'Aquila e il popolo avvelenato di Terzigno e Chiaiano, persino le «Brigate Monicelli», il popolo dell'acqua pubblica. Movimenti che dovranno intrecciarsi, meticciarsi, costruire insieme un percorso duraturo, perché domani è un altro giorno e bisognerà continuare il cammino insieme. Per questo è nato «Uniti contro la crisi» che ha promosso la manifestazione.
La piazza ondeggia sotto le cariche della polizia. C'è chi resta fuori dagli scontri, come gli operai della Fiom, perché non sono nel suo dna e punta da piazzale Flaminio verso il Muro torto per raggiungere la Sapienza. Ma alla fine la polizia sfonda, riconquista piazza del Popolo, si riversa sul piazzale mentre il fumo acre dei lacrimogeni intossica e fa crescere ancor più la rabbia. Un candelotto va a finire dentro il lungo sottopassaggio della metropolitana trasformandolo in una camera a gas. Sopra, nel piazzale, vola di tutto contro un blindato della Finanza, isolato e impazzito, una scena che nella memoria dei meno giovani richiama una dannata piazza di Genova.
Alle 13,41 è cambiata non solo la piazza ma anche l'atteggiamento di chi avrebbe dovuto garantire l'ordine: fino al voto, fino a davanti al Senato, confronti anche duri, ma senza volontà di precipitazioni. Poi la «difesa dei Palazzi» è diventata aggressiva, quasi alla ricerca dello scontro. Che alla fine, immancabilmente, è arrivato con tanto di fuoco, ragazze e ragazzi in fuga inseguiti dai manganelli.
I Palazzi hanno ignorato la protesta della piazza, hanno offeso la dignità di chi chiede quel che sarebbe giusto avere ma da oggi dovrà farci i conti. E sarà dovere di ogni organizzazione democratica costruire ponti con una generazione offesa ma determinata, e sostenere una battaglia per l'istruzione, la cultura, il lavoro, la giustizia sociale, che è una battaglia di civiltà e parla di diritti. Per costruire un'altra politica e differenti relazioni sociali, non mercificate, per pretendere giustizia sociale. Gli studenti sono in prima fila. Con loro ci sono altri movimenti, c'è un pezzo di Cgil. E gli altri dove sono?

Il manifesto

15/12/2010

http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento.../articolo/3852/

 
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